giovedì 17 ottobre 2019

Mangiamo pesce o plastica ?



Rifiuti come microplastiche entrano prepotentemente nella catena alimentare di pesci e molluschi,   con quali rischi per la salute?

Dopo che la cronaca ci ha fatto riflettere sulla contaminazione del tonno da metalli pesanti, come mercurio, arsenico, cadmio, si aggiunge un’altro enorme problema causato dalla scellerata abitudine di bere acqua in bottiglia di plastica anziché ragionare su come rendere la nostra pessima acqua potabile buona e sicura.

La plastica ha cosi “inondato” nostri mari e oceani, in buona parte appunto bottiglie che degradandosi, rilasciano microplastiche (anche nell’acqua che bevi): componenti molto pericolosi che scalano la catena alimentare della fauna marina fino a finire sulla nostra tavola. 



Il rapporto di Greenpeace dello scorso agosto dal titolo “Plastics in seafood”, ha stimato, attraverso modelli teorici, che la plastica rappresenta circa il 60 o 80 per cento dei rifiuti presenti in mare.
Ma lo studio si concentra in particolar modo sulla presenza delle microplastiche in pesci e molluschi e sul potenziale effetto sanitario derivante dal consumo di prodotti ittici contaminati con frammenti plastici, inserendo almeno 170 organismi marini fra quelli che certamente li ingeriscono. È inoltre emerso che su 121 esemplari di pesci del Mediterraneo centrale, tra cui specie ampiamente acquistate come il pesce spada, il tonno rosso e il tonno bianco, la presenza di frammenti di plastica rappresenta il 18,2 per cento dei campioni analizzati.

“Da nostri studi recenti, abbiamo dimostrato che nel 30 per cento dei pesci prelevati nell’Adriatico, fra le specie commerciali, si rinvengono microplastiche. Risultati simili sono stati riscontrati un po’ in tutte le latitudini del pianeta”, spiega il professore Francesco Regoli, Vice Direttore del Dipartimento di Scienze della vita e dell’ambiente dell’Università Politecnica delle Marche che illustra quali siano le modalità di accumulo di queste microscopiche particelle plastiche negli organismi marini e quali impatti possano generare.
“Talvolta sono scambiate con il plankton ed entrano così nei primi livelli della rete trofica. I pesci più grandi le assorbono perché si nutrono a loro volta del pesce più piccolo che le ha già assunte. Queste microplastiche non sono materiali inerti: dopo la loro ingestione i pesci possono sviluppare alterazioni che comprendono infiammazioni del sistema immunitario, fino a danni al DNA. Non solo, le microplastiche possono liberare additivi chimici che normalmente sono utilizzati nella costituzione delle plastiche. Si tratta di sostanze che hanno spesso effetti endocrini, cioè sostanze che, una volta assimilate, vengono in qualche modo scambiate per ormoni finendo per provocare alterazioni nella riproduzione”.

Il documento pubblicato e diffuso da Greenpeace documenta come la presenza di frammenti di plastica negli oceani sia passata dalle 204 tonnellate nel 2002 alle 299 tonnellate nel 2013 e cita un recente studio della Fondazione Ellen MacArthur da cui si evince che nel 2050 gli oceani potrebbero contenere più bottiglie di plastica che pesci (in termini di peso oggi nei mari finiscono circa 8 milioni di tonnellate di plastica ogni anno, come un camion zeppo di spazzatura al minuto).

“Le microplastiche possono assorbire efficacemente molti contaminanti chimici presenti nell’acqua anche a concentrazioni molto basse. Abbiamo verificato per la prima volta che, se si espongono le cozze a microplastiche contaminate con idrocarburi aromatici, le concentrazioni di questi inquinanti aumentano molto nei tessuti degli organismi: significa che le sostanze potenzialmente tossiche assorbite sulle microplastiche possono essere liberate dopo la loro ingestione. Oltre ai potenziali effetti diretti, destano preoccupazione perché possono rappresentare una sorgente di esposizione a sostanze o microorganismi pericolosi. La comunità scientifica oggi non è ancora in grado di escludere alcuna ipotesi. Quel che è certo è che le evidenze emerse dai laboratori focalizzeranno ulteriori attenzioni sugli effetti ecotossicologici delle microplastiche nell’ambiente” così il professor Regoli che da anni si occupa dell’effetto delle sostanze chimiche negli organismi marini.

Esistono invece effetti tossicologici sull’uomo con l’ingestione di pesce contaminato da plastica?

Manca ancora la risposta ufficiale supportata da adeguati studi, però è possibile elencare alcuni degli inquinanti comunemente trovati nelle microplastiche e che potremmo ingerire mangiando pesce o molluschi:
Bisfenolo A (BPA), ftalati, nonilfenoli (NP), polibromo difenil eteri (PBDE), policlorobifenili (PCB), idrocarburi policiclici aromatici (IPA), residui di pesticidi come il DDT e gli esaclorocicloesani (HCH).

Il famoso BPA, (di cui ho già parlato parecchie volte e che viene comunemente rilasciato dalla bottiglia nell’acqua contenuta) per esempio, è un interferente endocrino con possibili effetti tossici sullo sviluppo del feto e degli infanti, messo inoltre in relazione con l’incremento del rischio del tumore del seno, di infarti e problemi all’apparato urogenitale, anche impotenza e sterilità. Tra gli ftalati, alcuni sono tossici per il sistema riproduttivo, altri, a concentrazioni elevate, possono causare danni al fegato e così via.

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